PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Diritto dei detenuti e degli internati all'affettività).

      1. Il quinto comma dell'articolo 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

      «Per ciascun colloquio ordinario non effettuato è concesso ai detenuti e agli internati un colloquio telefonico della durata massima di quindici minuti con le persone con le quali hanno un legame affettivo. Il colloquio telefonico può essere fatto a carico del destinatario».

      2. All'articolo 28 della legge 26 luglio 1975, n. 354, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «Particolare cura è altresì dedicata a coltivare i rapporti affettivi. A tale fine i detenuti e gli internati hanno diritto a una visita al mese della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore con le persone autorizzate ai colloqui. Le visite si svolgono in locali adibiti o realizzati a tale scopo senza controlli visivi e auditivi»;

          b) alla rubrica sono aggiunte le seguenti parole: «e diritto all'affettività».

      3. Il secondo comma dell'articolo 30 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

      «Analoghi permessi possono essere concessi per eventi familiari di particolare rilevanza».

      4. All'articolo 30-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «8-bis. Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del comma 8, il

 

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magistrato di sorveglianza può concedere, oltre ai permessi di cui al comma 1, un ulteriore permesso della durata di dieci giorni per ogni semestre di carcerazione allo scopo di coltivare specificatamente interessi affettivi».

Art. 2.
(Affidamento in prova presso un datore di lavoro pubblico o privato).

      1. Dopo l'articolo 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, è inserito il seguente:

      «Art. 47.1. - (Affidamento in prova per lavoro di pubblica utilità). - 1. Se la pena detentiva inflitta non supera tre anni, il condannato può essere affidato al servizio sociale per lo svolgimento di lavori di pubblica utilità fuori dell'istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare. Il lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti od organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato. Gli enti di cui al periodo precedente, nell'ambito delle disponibilità offerte, assegnano di preferenza gli ammessi al lavoro di pubblica utilità alle seguenti mansioni:

          a) attività di ausilio nella prestazione di servizi pubblici erogati dallo Stato, dalle regioni, dalle province, dai comuni e dagli altri enti pubblici o strumentali, quali servizi in materia di manutenzione e di conservazione delle strade e dei cimiteri, servizi mortuari, servizi di nettezza urbana, servizi ecologici e di salvaguardia del verde pubblico, di pulizia e di bonifica di canali e di zone umide, di prevenzione antincendio, di protezione civile, di manutenzione programmata del territorio, di soccorso pubblico o privato, di tutela della flora e della fauna;

          b) attività di ausilio dell'ANAS Spa, delle Ferrovie dello Stato Spa e delle imprese operanti per conto del genio civile e delle autorità di bacino;

 

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          c) altre mansioni d'ordine indicate dal responsabile dell'amministrazione a cui è affidato il condannato, purché utili alla collettività.

      2. Il provvedimento di cui al comma 1 è adottato sulla base dei risultati dell'osservazione della personalità del condannato, condotta collegialmente per almeno un mese in istituto, nei casi in cui si può ritenere che il provvedimento stesso, anche attraverso le prescrizioni di cui al comma 4, contribuisca alla rieducazione dello stesso reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati. L'affidamento in prova per lavoro di pubblica utilità può essere disposto senza procedere all'osservazione in istituto quando il condannato, dopo la commissione del reato, ha serbato comportamento tale da consentire il giudizio di cui al presente comma.
      3. Se l'istanza di affidamento in prova per lavoro di pubblica utilità è proposta dopo che ha avuto inizio l'esecuzione della pena, il magistrato di sorveglianza competente in relazione al luogo dell'esecuzione, cui l'istanza deve essere rivolta, può sospendere l'esecuzione della pena e ordinare la liberazione del condannato, quando sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'ammissione all'affidamento in prova e al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e non vi sia pericolo di fuga. La sospensione dell'esecuzione della pena opera sino alla decisione del tribunale di sorveglianza, cui il magistrato di sorveglianza trasmette immediatamente gli atti, e che decide entro quarantacinque giorni. Se l'istanza non è accolta, riprende l'esecuzione della pena e non può essere accordata altra sospensione, quale che sia l'istanza successivamente proposta.
      4. Su indicazione del richiedente il decreto di affidamento in prova individua il responsabile dell'ente al quale il condannato è affidato. Tale soggetto è tenuto alla vigilanza sull'attività lavorativa svolta dal condannato, sulla partecipazione e sulla solerzia da questi dimostrate e assume

 

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l'obbligo di relazione trimestrale al magistrato di sorveglianza. In nessun caso tale soggetto può essere ritenuto responsabile per le assenze e le manchevolezze dimostrate dal condannato, salva la responsabilità penale per fatto proprio. Il responsabile dell'affidamento assume nei confronti del condannato i poteri del privato datore di lavoro. L'ente richiedente individua la persona fisica appartenente all'amministrazione stessa cui il condannato è affidato, che diviene altresì responsabile del procedimento amministrativo, osservate le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.
      5. All'atto dell'affidamento in prova è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto dovrà seguire in ordine ai suoi rapporti con il datore di lavoro e con il servizio sociale, alla dimora, alla libertà di locomozione, al divieto di frequentare determinati locali e al lavoro. Con lo stesso provvedimento può essere disposto che durante tutto o parte del periodo di affidamento in prova il condannato non soggiorni in uno o più comuni o soggiorni in un comune determinato; in particolare sono stabilite prescrizioni che impediscano ai soggetto di svolgere attività o di avere rapporti personali che possano portare al compimento di altri reati. Nel verbale deve anche essere stabilito che l'affidato si adoperi per quanto possibile in favore della vittima del suo reato e adempia puntualmente agli obblighi di assistenza familiare. Nel corso dell'affidamento in prova le prescrizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza.
      6. Il decreto di affidamento in prova è notificato al condannato e al soggetto o all'ente richiedente cui è affidato, e comunicato al pubblico ministero. Sull'osservanza delle prescrizioni lavorative imposte dal magistrato di sorveglianza vigilano il responsabile dell'affidamento e, ai fini del reinserimento sociale, i servizi sociali dell'amministrazione penitenziaria in concorso con quelli territoriali; il servizio sociale aiuta il soggetto a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale,
 

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anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita. L'ufficio di pubblica sicurezza e dell'Arma dei carabinieri territorialmente competente vigila sull'osservanza delle ulteriori prescrizioni di cui al comma 5. Qualora il condannato sia assegnato in ausilio al Corpo forestale dello Stato, la vigilanza sulle prescrizioni di cui al citato comma 5 spetta a tale Corpo. Sono sempre ammessi visite e controlli da parte dei servizi sociali e delle Forze dell'ordine di cui al presente comma.
      7. L'attività di lavoro di pubblica utilità viene svolta nell'ambito della provincia in cui risiede il condannato e comporta la prestazione di non più di sei ore di lavoro settimanale da svolgere con modalità e con tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato. Tuttavia, se il condannato lo richiede, il giudice può ammetterlo a svolgere il lavoro di pubblica utilità per un tempo superiore alle sei ore settimanali. La durata giornaliera della prestazione non può comunque oltrepassare le otto ore.
      8. Ai fini del computo della pena, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione, anche non continuativa, di due ore di lavoro.
      9. Il lavoro di pubblica utilità non è ammesso in riferimento alle funzioni di difesa dello Stato, di amministrazione della giustizia o dei servizi ad essa inerenti, di ordine e sicurezza pubblica, di polizia amministrativa anche locale e di polizia giudiziaria. Gli ammessi al lavoro di pubblica utilità non possono espletare mansioni presso le prefetture-uffici territoriali del Governo, presso le sedi centrali dei Ministeri e degli organi di Governo nazionale, nonché presso le sedi degli organi costituzionali centrali. Gli ammessi al lavoro di pubblica utilità possono espletare esclusivamente mansioni d'ordine e di prestazione di opera meramente materiale e non possono in alcun caso ricoprire le funzioni di pubblico ufficiale, di incaricato di pubblico servizio o di esercente un servizio di pubblica utilità.
 

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      10. Fermo restando quanto previsto dal presente articolo, le modalità di svolgimento dell'affidamento in prova per lavoro di pubblica utilità sono determinate con decreto del Ministro della giustizia, di intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
      11. L'affidamento in prova è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate ai sensi del presente articolo, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova.
      12. L'esito positivo del periodo di affidamento in prova estingue la pena e ogni altro effetto penale della condanna, comprese le pene pecuniarie e quelle accessorie.
      13. All'affidato in prova che ha dato prova nel periodo di affidamento di un suo concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della sua personalità, può essere concessa la detrazione di pena di cui all'articolo 54. Si applicano gli articoli 54, comma 3, 69, comma 8, e 69-bis».

      2. Il comma 12 dell'articolo 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

      «12. L'esito positivo del periodo di prova estingue la pena e ogni altro effetto penale della condanna, comprese le pene pecuniarie e quelle accessorie».

Art. 3.
(Pene residue).

      1. Il comma 2 dell'articolo 58-quater della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

      «2. In conformità all'articolo 656, comma 7, del codice di procedura penale, la disposizione del comma 1 del presente articolo si applica anche al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una misura alternativa ai sensi

 

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dell'articolo 47, comma 11, dell'articolo 47-ter, comma 6, o dell'articolo 51, primo comma. La disposizione di cui al primo periodo non si applica per i titoli detentivi posti in esecuzione, cumulati o meno, in epoca successiva alla predetta revoca; non si applica, altresì, ai condannati minori di età».

      2. All'articolo 656 del codice di procedura penale, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al comma 5, primo periodo, le parole «, anche se costituente residuo di maggiore pena,» sono soppresse;

          b) dopo il comma 8-bis sono inseriti i seguenti:

      «8-ter. Il primo periodo del comma 5 si applica anche in caso di pena detentiva costituente residuo di maggiore pena, purché a carico di condannato non ricadente nelle esclusioni di cui al comma 9. In tale caso l'ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono inviati d'ufficio al tribunale di sorveglianza di cui al comma 6, unitamente alla documentazione in possesso del pubblico ministero; il tribunale, convocate le parti ed assunte le informazioni necessarie, entro quarantacinque giorni dal ricevimento degli atti decide se confermare l'esecuzione della pena ovvero se disporre la concessione di una delle misure alternative alla detenzione previste dagli articoli da 47 a 47-ter e 50, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e dall'articolo 94 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, ovvero la sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 del medesimo testo unico.
      8-quater. Il comma 5 e il comma 8-bis non si applicano allo straniero, identificato, che si trova in taluna delle situazioni indicate nell'articolo 13, comma 2, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286,

 

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quando il giudice ha disposto l'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione».

Art. 4.
(Misure sostitutive e alternative per lo straniero extracomunitario colto in condizioni di clandestinità).

       1. L'articolo 16 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è sostituito dal seguente:

      «Art. 16. - (Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione). - 1. Il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna per un reato non colposo o nell'applicare la pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale nei confronti dello straniero che si trovi in taluna delle situazioni indicate nell'articolo 13, comma 2, quando ritiene di dover irrogare la pena detentiva entro il limite di tre anni, può sostituire la medesima pena con la misura dell'espulsione per un periodo non inferiore a sette anni, purché non ricorrano le seguenti condizioni:

          a) le cause ostative indicate nell'articolo 14, comma 1;

          b) la condanna riguardi uno o più delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale;

          c) la condanna riguardi uno o più delitti previsti dal presente testo unico, puniti con pena edittale superiore nel massimo a tre anni.

      2. L'espulsione di cui al comma 1 è eseguita dal questore anche se la sentenza non è irrevocabile, con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Per i successivi gradi di giudizio è fatto salvo il rientro ai sensi dell'articolo 17 per l'esercizio del diritto di difesa.

 

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      3. La pena e ogni altro effetto penale della condanna sono estinti alla scadenza del termine di quindici anni dall'esecuzione dell'espulsione di cui al comma 1, sempre che lo straniero non sia rientrato illegalmente nel territorio dello Stato. Se lo straniero espulso ai sensi del comma 1 rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima di tale termine, la sanzione sostitutiva è revocata dal giudice competente, è data esecuzione alla condanna e alla relativa pena detentiva e lo straniero è altresì punito con la reclusione da uno a quattro anni con rito direttissimo. È fatta salva l'applicazione del comma 5 quando la pena detentiva residua risultante dal cumulo tra quella originaria e quella inflitta ai sensi del periodo precedente, raggiunge i tre anni.
      4. Nei confronti dello straniero, identificato e detenuto, che si trova in taluna delle situazioni indicate nell'articolo 13, comma 2, che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a tre anni, è disposta l'espulsione. L'espulsione non può essere disposta nei casi in cui la condanna riguarda uno o più delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, ovvero uno o più delitti previsti dal presente testo unico puniti con pena edittale superiore nel massimo a tre anni.
      5. Competente a disporre l'espulsione di cui al comma 4 è il magistrato di sorveglianza, che decide con decreto motivato, senza formalità, acquisite le informazioni degli organi di polizia sull'identità e sulla nazionalità dello straniero. Il decreto di espulsione è comunicato allo straniero che, entro il termine di dieci giorni, può proporre opposizione dinanzi al tribunale di sorveglianza. Il tribunale decide nel termine di venti giorni.
      6. L'espulsione di cui al comma 4 è eseguita dal questore competente per il luogo di detenzione dello straniero con la modalità dell'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, se il decreto è rimasto inopposto ovvero se è stata pronunciata la sua conferma con decisione del tribunale di sorveglianza, anche se questa non è ancora irrevocabile.
 

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Per i successivi gradi di impugnazione della decisione del tribunale di sorveglianza è fatto salvo il rientro ai sensi dell'articolo 17 per l'esercizio del diritto di difesa.
      7. La pena è estinta alla scadenza del termine di quindici anni dall'esecuzione dell'espulsione di cui al comma 4, sempre che lo straniero non sia rientrato illegalmente nel territorio dello Stato. In tale caso, lo stato di detenzione è ripristinato e riprende l'esecuzione della pena; lo straniero è altresì punito con la reclusione da uno a quattro anni con rito direttissimo. È fatta salva l'applicazione del citato comma 4 quando la pena detentiva residua, risultante dal cumulo tra quella originaria e quella inflitta ai sensi del precedente periodo, raggiunge i tre anni».